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Caro Luca,
E con Luca intendo te, lettrice o lettore di questo numero di Turchese, che tu lo abbia acquistato online o in una delle librerie indipendenti che hanno scelto di ospitarlo (grazie!) o anche rubato a quell’amico che lo teneva nascosto tra i libri di Elena Ferrante, insomma per il momento chiamiamoti Luca. Come stai? L’ultima volta che ci siamo letti su queste pagine avevi appena compiuto diciotto anni, ora sei un adulto. Più adulto di me, almeno.
Sono contento di scriverti qui, c’è stato un momento in cui ho avuto paura non sarebbe successo. Il mondo dell’editoria più che un mondo inizia a sembrarmi sempre più un paesino in cui la gente cammina per strada tranquilla e ti saluta sempre e aiuta la vecchina ad attraversare la strada e poi la sera organizza uno sfacelo di rave sotterranei e quella stessa vecchia te la ritrovi che volteggia sullo speaker con una bottiglietta d’acqua in mano e pensi mannaggia la vecchietta, che bello voglia restare idratata anche quando è in festa. Ho perso il senso della metafora. Il punto è che l’editoria è un casino totale, ma pieno di bella gente, ed è stupendo che il Super Tramps Club si stia costruendo il suo posto vagabondo per le strade di questo paesino, anche se questo negli ultimi tempi mi ha un po’ spaventato. In Riccardo muore mentre sogna un microchip emozionale, più o meno a metà di questo Turchese, Morgana Chittari scrive:
Ieri ho avuto paura ma l’ho superata leggendo il libro di un tale che l’ha chiamata “pulcino”. Per cinquecentododici pagine di romanzo scrive “pulcino” al posto di paura. Che idea del cazzo, ho pensato.
Ecco Luca, negli ultimi tempi ho avuto un sacco di pulcino. A volte il pulcino arrivava senza dirmi per quale motivo, che poi è il tipo di pulcino peggiore. Magari ti svegli e senti di sprofondare, ti sembra che il letto si incastri nel pavimento, sottoterra. Non hai idea di come ci sei arrivato, sposti le lenzuola da davanti alla faccia e lo vedi, un pulcino che ti guarda dall’alto senza che nessuno lo avesse invitato. «Nevermore», gracchia il pulcino, guardandoti fisso negli occhi, e guarda te, Luca, guarda te che sei me che hai paura.
Ma nella paura sono stato fortunato. Le fotografe di questo numero mi hanno dato una direzione grafica da seguire, le autrici e gli autori mi hanno fatto da guide, spesso anche da babysitter, e questo mi ha fatto pensare a te. È grazie a te che supero i momenti difficili di questo percorso. Sapere che c’è qualcuno per cui la sera rimango a casa a impaginare, per cui mi indebito e rimando gli esami, mi rende quasi fiero dei pulcini che allevo.
Il volume che hai tra le mani è dedicato a te, Luca. Anche ora che le nostre strade editoriali si sono separate e non sei più al mio fianco nella realizzazione di Turchese, sei in realtà nei miei pensieri a ogni racconto che scelgo, a ogni d eufonica che cancello. Ogni fotografia su questo numero l’ho scelta immaginando il momento in cui sfoglierai quella pagina, ho cercato di indovinare un sorriso, mi sono chiesto se ti sarebbe piaciuta, cosa avresti detto. Ogni volta che a un rave, da ubriaco, parlo del Super Tramps Club alla vecchia che sta twerkando in fila per il bagno, in realtà parlo anche di te. E sei il motivo per cui, quando la vecchia mi chiede cosa pubblico, rispondo usando la prima persona plurale.
Luca, lettrice, lettore, spero che questa roba ti piaccia tanto quanto è piaciuta al Luca, lettrice, lettore immaginario nella mia testa. Grazie, scusa, gira la pagina. Non è la fine, è solo l’inizio.
Giulio Frangioni, “Editoriale”
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