Principi masochistici per una poetica dell’amore – pt. 2

una raccolta di Andrea Ferraiuolo
editing di Stefano Tarquini.

(13)

Coscienze sedentarie e disidratate
nei raggi oltreoceano rivedi
la luna colorarsi a guardarci Via per sempre
noi in un istante     L’anima è stanca

Ignora il buio del vuoto Mettiti
i paraocchi e cavalca un ciuco:
è come infilare la testa in una 
ciotola di morte
Chiudi gli occhi come due
vongole prendi le mani e inchiodale
all’oblio     dove t’ha colpita
Prendi le orecchie e lanciale via 

è come

camminare scalzi nel grande acquario
nero e ritrovarsi sul sole a bruciare ma 
senza pareti a separarci senza
alcun motivo solo
Andromeda a sussurrarci: “Eccoci,
quelle minuscole essenze siamo noi”
ma dove  dove

Dormiamo
si starà bene 
A domani i baci e i pensieri.

(14)

Il nulla di questo tempo davanti
e tu che svolazzi sguazzi mi sbuchi alle
spalle nei miei sogni più belli
accòstati calpestami restami vicino:
la tua è una parola bellissima

(15)

Se non ti amassi cambierei l’acqua 
marcia dei fiori prima di tuffarmici dentro
queste mie rose in volto con le bende
fatte apposta per cadere
     Sarei
sotto sotto sotto 
in profondità e
non salterei a rompere il cielo con queste forbici
La mia immagine sbiadirebbe come una
lanterna che a vanvera oscilla nella nebbia
     Avrei un motivo in più
per non so…
     Io in fondo
sarei un fazzoletto svolazzante
per onde profonde
e porterei scritte su di me parole sparse
completamente annacquate.

(16)

Ti amo come le mie memorie amano passeggiare 
sul letto in ricamo e per metà stropicciato
s’empie di piccole perle d’affanno e si rovescia
sulla notte un pianto nostalgico
Ti amo come le cime in verità amano le tempeste
come fili di capelli il vento che mi strozzano il canto:
la mia testa è satura di malinconiche calvizie
mi hai già visto teneramente crescere in singulti e incroci
Ti amo come il celeste prato ama il trapassare dolce 
è lì che il non averti diviene il volerti
invano tenebrosamente giungendo con un pugno di fiori
imbastito con orgoglio a sorvegliare l’ingresso
Io ti amo come le parole amano l’incomunicabile:
è una questione di naturalezza
come miei sorrisi ebeti il tuo cuore aperto.

(17)

Quello che s’avvicina
empio di faville
ugualmente
s’allontana anni luce
Prende il largo il mio corpo
E in un abbraccio mi frantumo 
come un coccio.

(18)

Io penso il lento colore dell’estate
che approssima l’addio e piano sosta
raccolta come un cane stanco
Penso ecco: si rovescia nel cielo la mia
inerzia e angoscia
in mancanza d’ombra il corpo si scioglie
e si riversa in un bicchiere Bevilo
come acqua di fiume
Penso – non so se per il sole o un inganno 
fuggevole – non ti ho mai vista vestire l’inverno.

(19)

Il porto che sogno è annuvolato e smorto,
il sole resta dall’altro lato del paesaggio…
Si radunano nella sala del mio cervello
certi suoi sguardi tinti di un rosso riflesso

Con me la vita ha accelerato come un battito come 
la luce di un fanale schizofrenico     Aspetta, che
mi vedo qui in fondo al paesaggio
     sotto un bianco ospedale

un russare proveniente dal mare,
un muro s’erge a coprirmi dal molo, ma i piedi
continuano i piedi non riescono a fermarsi
     
     E sempre vado Sempre vado Vado…

sin in fondo dove mi bagno con la sua bocca

Spesso mi sentirà passeggiare per i
ruderi o sedere sull’erba
del tutto contento Ah sull’orizzonte

Mi sentirà dire che il cuore     e la
testa     sono una babilonia indescrivibile.

Spesso
vivere è sopportare

     oggi è già pronto l’autunno

     A me che importa
se trascinando con me il suo passo distratto
     nostalgico mi trafiggerà e per indicibile noia
preferirò starmene là seduto come un guanto

Lei     m’ha fatto un cenno con la mano
ed è volata via…
Vento che in due si divide in settembre
dove la vita folgora la morte    

(20)

E della tua delicatezza incendiaria.
Placido groviglio di tenera erba
frantumata e caduta,
di steli ritti e secchi che volano via

e io oscillo, tremo.

Ti scopro, grazie a una mosca che si
posa sulla finestra riflessa come
un’ombra, guardare un paesaggio che si
fonde col tuo

e ogni movimento che fai
come il toccare la fronte umida e 
dietro l’orecchio scostare 
ogni ciocca di capelli io lo emulo.

Poi si fa sera
e sembra districarsi nel buio un insolito terrore
tra la forma del vento e dei capelli tuoi

Su questo sedile che è una pietra lavica
mi piego
fino a cadere sulla terra sciolta,
fra l’erba bruciata e il tuo respiro annientato.

(21)

È la sera che comincia a piovere
s’amalgamano al suono delle gocce
i casini della città
sulla tua testa taciuta piove
sulla mia schiena uncina piove
tu giochi con le tue mani trapunte di
colore con le mie
io grido al chiasso che ci assorda
e parlo di te che
sei la rovina d’ogni
mio pensiero soffocante

(22)

Fu nel mattino ancora macchiato da
stelle Eri     tu     trasparente

S’involava perciò fra le colline il freddo

Niente rose
No nessuna festa Si vedevano come attraverso vetri 
oltre cumuli di ceneri di morti i nostri esili agganci

Sentivo di contro all’aria
sotto sfacciato si muoveva un amore

(23)

Bisognerebbe guardarsi bene dalle troppe carezze Non si sa nulla
Si è soltanto mani mozze Ci si aggrappa a cose ma non si ha corpo
a cui aggrapparsi Si può scrivere soltanto nulla
si è soffiati ancor prima di soffiare: 
quest’esorbitante pretesa di dialogare con se stessi.

tutte le foto di Claudia Bozzato,
grafiche di Tommaso Contò
e lettering di Mercè Aragonès Mestre.

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