una raccolta di Andrea Ferraiuolo
editing di Stefano Tarquini.
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Coscienze sedentarie e disidratate nei raggi oltreoceano rivedi la luna colorarsi a guardarci Via per sempre noi in un istante L’anima è stanca Ignora il buio del vuoto Mettiti i paraocchi e cavalca un ciuco: è come infilare la testa in una ciotola di morte Chiudi gli occhi come due vongole prendi le mani e inchiodale all’oblio dove t’ha colpita Prendi le orecchie e lanciale via è come camminare scalzi nel grande acquario nero e ritrovarsi sul sole a bruciare ma senza pareti a separarci senza alcun motivo solo Andromeda a sussurrarci: “Eccoci, quelle minuscole essenze siamo noi” ma dove dove Dormiamo si starà bene A domani i baci e i pensieri.
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Il nulla di questo tempo davanti e tu che svolazzi sguazzi mi sbuchi alle spalle nei miei sogni più belli accòstati calpestami restami vicino: la tua è una parola bellissima
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Se non ti amassi cambierei l’acqua marcia dei fiori prima di tuffarmici dentro queste mie rose in volto con le bende fatte apposta per cadere Sarei sotto sotto sotto in profondità e non salterei a rompere il cielo con queste forbici La mia immagine sbiadirebbe come una lanterna che a vanvera oscilla nella nebbia Avrei un motivo in più per non so… Io in fondo sarei un fazzoletto svolazzante per onde profonde e porterei scritte su di me parole sparse completamente annacquate.
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Ti amo come le mie memorie amano passeggiare sul letto in ricamo e per metà stropicciato s’empie di piccole perle d’affanno e si rovescia sulla notte un pianto nostalgico Ti amo come le cime in verità amano le tempeste come fili di capelli il vento che mi strozzano il canto: la mia testa è satura di malinconiche calvizie mi hai già visto teneramente crescere in singulti e incroci Ti amo come il celeste prato ama il trapassare dolce è lì che il non averti diviene il volerti invano tenebrosamente giungendo con un pugno di fiori imbastito con orgoglio a sorvegliare l’ingresso Io ti amo come le parole amano l’incomunicabile: è una questione di naturalezza come miei sorrisi ebeti il tuo cuore aperto.
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Quello che s’avvicina empio di faville ugualmente s’allontana anni luce Prende il largo il mio corpo E in un abbraccio mi frantumo come un coccio.
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Io penso il lento colore dell’estate che approssima l’addio e piano sosta raccolta come un cane stanco Penso ecco: si rovescia nel cielo la mia inerzia e angoscia in mancanza d’ombra il corpo si scioglie e si riversa in un bicchiere Bevilo come acqua di fiume Penso – non so se per il sole o un inganno fuggevole – non ti ho mai vista vestire l’inverno.
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Il porto che sogno è annuvolato e smorto, il sole resta dall’altro lato del paesaggio… Si radunano nella sala del mio cervello certi suoi sguardi tinti di un rosso riflesso Con me la vita ha accelerato come un battito come la luce di un fanale schizofrenico Aspetta, che mi vedo qui in fondo al paesaggio sotto un bianco ospedale un russare proveniente dal mare, un muro s’erge a coprirmi dal molo, ma i piedi continuano i piedi non riescono a fermarsi E sempre vado Sempre vado Vado… sin in fondo dove mi bagno con la sua bocca Spesso mi sentirà passeggiare per i ruderi o sedere sull’erba del tutto contento Ah sull’orizzonte Mi sentirà dire che il cuore e la testa sono una babilonia indescrivibile. Spesso vivere è sopportare oggi è già pronto l’autunno A me che importa se trascinando con me il suo passo distratto nostalgico mi trafiggerà e per indicibile noia preferirò starmene là seduto come un guanto Lei m’ha fatto un cenno con la mano ed è volata via… Vento che in due si divide in settembre dove la vita folgora la morte
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E della tua delicatezza incendiaria. Placido groviglio di tenera erba frantumata e caduta, di steli ritti e secchi che volano via e io oscillo, tremo. Ti scopro, grazie a una mosca che si posa sulla finestra riflessa come un’ombra, guardare un paesaggio che si fonde col tuo e ogni movimento che fai come il toccare la fronte umida e dietro l’orecchio scostare ogni ciocca di capelli io lo emulo. Poi si fa sera e sembra districarsi nel buio un insolito terrore tra la forma del vento e dei capelli tuoi Su questo sedile che è una pietra lavica mi piego fino a cadere sulla terra sciolta, fra l’erba bruciata e il tuo respiro annientato.
(21)
È la sera che comincia a piovere s’amalgamano al suono delle gocce i casini della città sulla tua testa taciuta piove sulla mia schiena uncina piove tu giochi con le tue mani trapunte di colore con le mie io grido al chiasso che ci assorda e parlo di te che sei la rovina d’ogni mio pensiero soffocante
(22)
Fu nel mattino ancora macchiato da stelle Eri tu trasparente S’involava perciò fra le colline il freddo Niente rose No nessuna festa Si vedevano come attraverso vetri oltre cumuli di ceneri di morti i nostri esili agganci Sentivo di contro all’aria sotto sfacciato si muoveva un amore
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Bisognerebbe guardarsi bene dalle troppe carezze Non si sa nulla Si è soltanto mani mozze Ci si aggrappa a cose ma non si ha corpo a cui aggrapparsi Si può scrivere soltanto nulla si è soffiati ancor prima di soffiare: quest’esorbitante pretesa di dialogare con se stessi.
tutte le foto di Claudia Bozzato,
grafiche di Tommaso Contò
e lettering di Mercè Aragonès Mestre.