Mon Dieu – L’autobus ti fa bella

PicsArt_10-08-07.25.04.png

Illustrazione della gentilissima Ping Zhu. (Yo, thank you so much Ping!)

Sono grassa, ma non obesa. Non sono mai stata obesa: sono solo un po’ stanca, in questi ultimi tempi. Già, tutto qui, non nascondo nulla. Sono stanca e non voglio salire su quell’autobus. Però è l’unica soluzione, è giusto cosi. Neanch’io ci credo, ma se Monsieur Gaston in ufficio ha detto che non posso salvarmi altrimenti, allora dev’essere vero. È l’unica soluzione.
L’autobus è fermo davanti a me, le porte aperte: mi sta aspettando. Mi dice di muovermi, che sono sola e che sarei dovuta salirci già anni prima.
Forza, Mademoiselle Alphonse, che cosa sta aspettando? Sto tenendo le porte aperte solo per lei. Non aspetterà certo l’anima gemella, Mademoiselle, non conciata così.

I miei occhi si abbassano sul biglietto che stringo tra le mani, sull’indirizzo che ci ha scritto Monsieur Gaston. 15, Avenue de Tourville. Solo quattro fermate di autobus, poi sarò una persona nuova. L’indirizzo è scritto con la stilografica, come al solito: i ricchi non usano mai la penna a sfera.
Andiamo. Salga, Mademoiselle.
E sento l’autobus pronunciare quella parola, “mademoiselle”, con 280 cavalli vapore di rimprovero. Tutti mi guardano e sorridono felici di non essere delle “mademoiselle”, sanno cosa significa quella parola. Significa che a più di quarant’anni sei ancora sola, che passi le serate a guardare Les vacances de l’amour e che nella tua insalata c’è più maionese che foglie di lattuga. E va bene, salgo.

Avanzo piano piano, cerco di non spintonare nessuno. Mi spiano la strada a suon di “Pardon” e “Mi scusi”. Per entrare devo alzare le gambe, prima una e poi l’altra. Che fatica, le ginocchia urlano per il dolore. Appena salita, cerco di riprendere fiato senza schiacciare gli altri passeggeri. Si sta sempre più stretti in questi corbleu di autobus. Io però non occupo più spazio di tutti gli altri, è inutile che continuino a fissarmi così: non sono obesa, sono solo grassa. In carne.
Monsieur Gaston lo dice sempre che non c’è niente di male, nell’essere in carne. Solo che bisogna dare una svolta. Quel giorno ero seduta in ufficcio e lui era passato a controllare, come sempre.
«Tutto sotto controllo, Mademoiselle Alphonse?» aveva chiesto, e poi aveva visto cosa c’era sulla mia scrivania. «Come mai oggi mangia solo verdure, Mademoiselle Alphonse?»
Io avevo risposto, fiera, che mi ero messa a dieta per dimagrire davvero. E Monsieur Gaston mi aveva stupita. Aveva detto proprio così, ecco: bisogna dare una svolta. Le verdure vanno bene, certo, ma non fanno la differenza. Se volevo veramente perdere peso, perderlo per sempre, mi ci voleva una bella svolta.
L’autobus svolta.
Mi spavento, lancio un grido sottile. Poi mi vergogno di essermi spaventata e rido, come a scusarmi. Non sono mica pazza, dice quella risatina, smettetela di guardarmi, ero solo sovrappensiero. Sbuffo. Tutto questo è faticoso, sarei dovuta restare a casa a guardare Les vacances de l’amour.

Una voce femminile mi distrae.
«Si sieda pure, s’il vous plaît
È una ragazza, lei è magra. Si alza per me e mi fa segno di prendere posto. Le sorrido e mi siedo, menomale che almeno lei non mi sta giudicando.

Stop – prima fermata

L’autobus riparte e la ragazza che mi ha ceduto il posto mi guarda, ma nei suoi occhi non c’è il rimprovero di tutti gli altri. Il suo è uno sguardo avvolgente, comodo.
E comodo è anche il sedile su cui sono seduta grazie a lei. È stato faticoso abbassarmi, ma adesso non devo preoccuparmi più di nulla. Devo solo rimanere ferma per altre tre fermate.
Apro di nuovo il foglietto con l’indirizzo. Non mi ero accorta di averlo stretto in mano con tutta quella forza, adesso l’ho stropicciato. Io stropiccio tutto, non lo faccio apposta, è inutile che le persone si stupiscano. Non è colpa mia e me ne vergogno.
Tengo giù lo sguardo vergognato, e non posso fare a meno di vedere oltre quell’indirizzo. Ciò che tenta di nascondersi sotto al biglietto vale più di ogni ammissione. Per non vedere tengo il pezzo di carta in alto, poco sotto il mento, ma più giù c’è qualcosa di troppo grosso per passare inosservato. La mia pancia non passerà mai inosservata. Ed è incredibile, ma è proprio questo a bloccarmi adesso. Non voglio scendere mai più da questo autobus, per non essere costretta a dire tutti quei “Pardon”.

Guardo la ragazza, che adesso è in piedi e sorride. Non deve essere faticoso per lei stare in piedi. Sposta il peso da un piede all’altro, come una ballerina. Quando il pullman accelera lei si piega indietro, quando rallenta si sporge in avanti. Delicata, si flette come un sottile gambo di sedano.
Quel giorno in ufficio stavo mangiando sedani. Solo gambi di sedano, ecco che verdura era. Monsieur Gaston aveva preso uno di quei sedani e l’aveva guardato con sufficienza.
«Se non dai una vera e propria svolta alla tua vita,» aveva detto. «C’è ben poco da fare.»
Io non avevo risposto. Aspettavo che mi dicesse in quale pila posare l’ultimo bilancio, non che mi desse lezioni su come dimagrire.
«Quando hai tempo vieni nel mio ufficio.» aveva concluso.
Allora non avevo fatto in tempo a fargli ancora la domanda della pila e del bilancio, che lui si era allontanato. E nel suo ufficio ci ero andata davvero, eccome se ci ero andata.

Stop – seconda fermata

Sono grassa ma non obesa. Per questo motivo all’inizio la soluzione di Monsieur Gaston mi era sembrata esagerata, ma lui aveva insistito.
«Cerchi di capire, capo.» avevo provato a spiegargli. «È in ballo una questione economica non indifferente. E oltre ai costi ci sono i rischi, e poi le paure.»
Monsieur Gaston aveva continuato a guardarmi, come se non stesse aspettando altro che sentirmi dire quella stupidaggine. Perché lui sapeva che l’avrei detto.
«Dovrei parlarne prima con la mia famiglia, ecco.»
Certo. Certo che devi parlarne con la tua famiglia, “mademoiselle”. E chissà che lungo discorso con il tuo marito immaginario, di sicuro avrà avuto da ridire. Di sicuro quella sera il Monsieur invisibile sarà entrato in casa dopo una dura giornata di lavoro alla fabbrica invisibile. Avrà appoggiato il suo cappello invisibile sull’attaccapanni invisibile e avrà detto «Cara, dobbiamo parlare dell’idea assurda che ti ha messo in testa il tuo capo».
Ma non c’era stato nessun Monsieur invisibile, non per me che anche il pullman chiama “mademoiselle”. Et voilà, eccomi su un sedile troppo piccolo per il mio posteriore, a riflettere su quanto quella ragazza sembri un sedano.
Che poi, ragazza? Siamo davvero sicuri che quel bel gambino di sedano non abbia passato da un pezzo l’età da jolie petite fille? Ma certo che sì,  guarda come sposta il peso da una gamba all’altra. È l’unica soluzione, non ci sono alternative.

Questo aveva detto Monsieur Gaston quel giorno in ufficio: «È l’unica soluzione, non ci sono alternative.» e aveva scritto con la sua stilografica sul foglietto che adesso tengo in mano. 15, Avenue de Tourville. La stilografica si muoveva veloce, non faticava, era così magra. Ballava sul suo foglio, lasciando dietro di sé una scia di ammiratori blu. Nessuno si sarebbe sognato di fissare quella penna, di rimproverarla. La stilografica era magra e non aveva colpe.
Neanch’io ho colpa per cosa sto facendo, vado ad Avenue de Tourville. Seguo la scia blu, lasciata dalla danza della stilografica. In fondo non ho deciso io di essere grassa, però posso decidere di smettere di esserlo.

Stop – terza fermata

Ma c’è qualcosa che non mi convince. L’autobus salta sulle buche, mi fa sobbalzare sul sedile che la signora mi ha lasciato. Quella fille, che a ben guardare non è una fille, mi ha detto di sedermi, mi ha sorriso. Dove possa essere diretta una donna come lei non lo so, perché io non sarò mai una fille, eppure qualcosa mi fa storcere il naso. Improvvisamente non sono più sicura di ciò che credevo a proposito di quella signora, penso che forse potrei essermi sbagliata.

La prossima fermata è la mia, guardo fuori dal finestrino. Modelle senza colpa si inseguono sui cartelloni pubblicitari: corrono, una dietro l’altra, a una velocità che il mio sguardo non riesce a reggere. Forse è proprio per questo che le modelle sono così magre: tutto il giorno a rincorrersi su quelle insegne, perderei peso persino io. E poi, agli occhi di tutti, loro sono magre perché ci si aspetta che lo siano. Sono modelle, corbleu. Devono essere belle per forza: nessuno sfigurerebbe su un cartellone pubblicitario, sono messe lì apposta.
Sento le mie gambe sfregare una contro l’altra ma questa volta, chissà perché, me ne vergogno di meno. Lancio un’occhiata alla ragazza che mi ha fatta sedere e vedo in lei qualcosa di nuovo. Vedo una signorina come tante altre, in un pullman pieno di gente come lei, che però ha qualcosa di diverso da chiunque altro. Sembra una persona speciale, anche se tutto ciò che ha fatto di speciale è stato cedere il posto in autobus a una persona meno speciale di lei. E che cosa renda quella ragazza diversa dalle modelle sui cartelloni pubblicitari, non saprei dire.
Proprio tu, ragazza-sedano, tu sapresti dirlo? Tu che sei già abbastanza magra, sei sicura di non essere magra come le modelle? E se io ti dicessi che l’autobus ti fa bella?

Quando passi in pullman, tu con tutte le donne grasse o magre di Parigi alzi lo sguardo. Ti senti inferiore, macchiata, sotto a quelle foto gigantesche. E poi abbassi quegli stessi occhi sui tuoi fianchi, sproporzionati o no, e ti vergogni. Perché io ti vedo, fille, e so che sei molto più simile a me di quanto lasceresti pensare.
Anche tu ti senti in colpa, è naturale. Trovi così normale dire “Lo schermo ti fa bella”, che non penseresti mai di dire “L’autobus ti fa bella”. Perché tu sei proprio come me, ecco cosa non mi convinceva. Non importa cosa dirà la bilancia: tu, così aggraziata, sei grassa e vecchia. Tutte le donne di Parigi sono grasse e vecchie quando passano sotto a un cartellone pubblicitario.
Ma sai perché l’autobus ti fa così bella, mio dolce esile sedano? Perché ti sei alzata. Forse anch’io, senza accorgermene, sposto il peso da un piede all’altro quando sono in piedi, anch’io mi piego avanti e indietro. E tu, magari tu dici “corbleu” proprio come me e chiedi scusa con la testa bassa quando devi passare. Magari anche tu fatichi a muoverti, ma io non l’ho visto perché mi hai fatta sedere: in quel momento, dimenticandoti della tua età e del tuo peso, tu sei stata più giovane e magra di me. Più giovane e magra di qualsiasi modella da pubblicità, anche più di quelle che vediamo la sera su Les vacances de l’amour. Ed è per questo che probabilmente tu sei già una “madame” e io una “mademoiselle”: non importa il tuo vero titolo, quando ti senti sola diventi una “mademoiselle” anche se non lo sei. E io di sicuro lo sono, di sicuro lo ero prima di conoscerti.
Quando Monsieur Gaston, quel giorno nel suo ufficio, mi aveva scritto con la sua elegante stilografica l’indirizzo di un centro di liposuzione, mi aveva resa più brutta di qualunque altra donna.
«Una bella svolta.» aveva detto. «Ti farai risucchiare tutto il grasso e non avrai più bisogno di inutili diete a base di verdure.»
In pratica, non avrei avuto più bisogno di alzarmi per qualcun altro sull’autobus. Ma Monsieur Gaston non aveva capito che è questo che rende più bella una donna: cedere il posto a un’altra come lei.

Adesso guardo l’anziana ragazza in piedi, che sorride non solo a me ma a tutti, e penso che lei potrebbe anche essere la donna più brutta di Francia. Anzi, forse lo è davvero. Ma so che non potrebbe importare di meno a me come a nessun altro.

Stop – quinta fermata

No, aspetta. Come sarebbe a dire “quinta fermata”? Non c’è stata la quarta, dovevo scendere prima, ho perso la mia. 15, Avenue de Tourville? Persa per sempre.
E forse alla fine è meglio così. Mi guardo intorno: non è vero che le persone mi stanno fissando e quella colpa che prima sentivo il bisogno di negare adesso non è più nemmeno l’ombra un dubbio. Guardo di nuovo il biglietto e adesso lì sotto vedo ancora i miei fianchi, ma non ho più l’impressione che si stiano nascondendo. Non deve chiedere scusa a nessuno, questa pancia.

Il bus è fermo, le porte non si sono ancora richiuse. Guardo la ragazza-sedano, lei guarda me. Mi alzo e per la prima volta da tempo non rantolo per la fatica, finalmente non sono stanca. Aggrappandomi al palo d’appoggio mi isso in piedi. Indico il sedile alla fille e dico le parole che, ne sono sicura, daranno la vera svolta alla mia vita.
«Si sieda pure, s’il vous plaît

Non sono obesa e non sono nemmeno grassa, almeno non finché riesco a dire “Pardon” a testa alta. Scendo dall’autobus e butto in un cestino della spazzatura il biglietto accartocciato: non entrerò mai in un centro di liposuzione. E non per costi, rischi o paure, ma letteralmente per la mia famiglia. Una famiglia di uno. Oui, posso non aver trovato l’anima gemella, ma è in questo momento, buttando via l’indirizzo scritto dal mio capo, che smetto per sempre di essere una mademoiselle. Monsieur Gaston si sbagliava, quella non era l’unica soluzione: nessuna soluzione lo è mai. Andrò avanti comunque, anche se dovrò trascinarmi indietro molto peso in più.
Ora non so cosa succederà, a dire il vero non so un mucchio di cose. Non so quanti anni avesse davvero la ragazza sul pullman, non so se Monsieur Gaston è una testa di corbleu, non so se mi avesse consigliato il centro di liposuzione perché la credeva davvero l’unica scelta. Corbleu, non so nemmeno se riuscirò mai a perdere qualche chilo. Ma almeno so che stasera per cena mangerò sedani.


Secondo racconto: Mon Dieu – Fratello, dove sei?

Pagina principale: Mon Dieu