Lo spazio di un divano è il calore lasciato dal nostro affetto

una poesia di Barbara Giuliani.

lo spazio di un divano è il calore lasciato dal nostro affetto

le chiamano disattenzioni, le fessure di credo.

rileva calore.

minuscole e impalpabili, come i diametri dei divani.

stanotte giochiamo a spostarli.

abbiamo spazio che sia.

siamo tiepidi, minestrina di un gennaio che non abbiamo mai avuto.

siamo il tuo solo.

siamo il tuo bestemmio.

siamo il tuo.

ho una piccola cavità sulla clavicola; appenditi.

stanotte giochiamo a metterli al loro posto.

tutta la notte. 

quella di giugno. 

prendiamo e distrecciamo parole,
siamo spargimento di sale e
non nevica da quando ci siamo abbandonati.

torna con un mi manchi, con un tasso di umidità al settantacinque percento, con una tempesta che si spegne nei tuoi occhi a innesco della mia.

dimmi che non hai bisogno della data di scadenza della mia carta d’identità. 

siamo dotati di idranti a gittata morbida.

devasta la riva, ricostruisco la tua acqua e 
con un’ala ghiacciata in mano tu corri verso l’aldiqua.

torniamo a casa:
tu finestrino
io corridoio
divisi per credo e scheda elettorale.

trentasette gradi sfracellati sull’orizzonte.

all’ingresso c’è una invasione di libellule.

sono la vicina nel turno della venticinquesima onda, sei mosso a ridosso del mio stare.

siamo destinati a un venditore ambulante di accendini. 

ingrandimento sentimentale: 

mi fai così triste come restare.
dentro questi cinquantacinque metri quadri ci sono la bellezza di trentotto divani letto e 
non riusciamo a conteggiare le poltroncine in vimini accatastate sul fondo di questa geometria che ha preso il ventosopra.

inquadriamo il lampione quindici a campo pieno, tutto mare sulla destra.

morfinare e gigantare.

se io morfino, 
tu non hai paura di ucciderti,
se tu morfini io raccolgo i panni e 
siamo felici.

è così estate da non finire qui, con un resto a tre euro e ottanta.

gigantare è la risposta. gigantiamo le nostre giornate, il nostro mangiare, il nostro guardaroba, le nostre passeggiate. 

fammi il miele di mare, per impollinazione percussione a distanza, ombrellone in quarta fila ingresso passerella.

sfuoca sul mio non esserci.

mi hai chiesto un interno, ti porto il mondo.

pausa volo.
tu giganti? 
tu morfini?

ho un piccolo taglio sulla gola,
tu urla
io ti mostro l’alfabeto
tu esterno meteo
io curvo un temporale
tu incendio
io ti ho chiesto solo un momento.

giganta il mondo: è il solo ad avere dei corpi parlanti che non si scottano a quarantadue gradi al sole.

morfina la luna: è la sola che addormenta il giorno colpendo il proprio compagno per metterlo in salvo.

hai una piccola ferita sulla nuca, è un inutile patto da bambini, per montare un gancio e tirare giù le nuvole.
se mi contrai, espansione a lato, tu mi riconduci allo scontro.

in rottura posso scrivere di collidere e sei dentro; domani.

muoiono gli sposi quando per televisionare, devono spostare i trentotto divani letto.

non vedo il tuo sonno e demolisco con un coltellino svizzero una imbarcazione di gianluigi aponte.

se ti perdo, sarà per la trasfusione calcificata del mio bordeaux.

tutte le foto di Savior Lunastorta.

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