La cucina cinese

un racconto di Stefano Tarquini.

Ti giri verso di me con gli occhi gonfi di lavoro, le palpebre inghiottite che sanno di terra, il respiro intrecciato alle siepi appena potate, una carezza prudente dopo una giornata faticosa è un sasso decorato, profumano di lavanda i cassetti socchiusi, mi frana addosso il tempo presente.

E questo letto sporco di te è la terra dove cammino, dove guido senza sapere se andare indietro o avanti, tornare nei sogni o restare sveglio tra i petali e i treni da perdere, la voragine nello stomaco è un secchio di vernice e di fame, il buio capovolto dentro un bicchiere scheggiato è tangibile, si fa modellare come plastilina.

Passi al setaccio i tuoi pensieri, valuti se i ricordi della giornata trascorsa abbiano senso, decidi se tenerli come fai con un profumo nuovo, e ti travolgono come uno tsunami quando hai appena ordinato un mojito, guardi i tuoi piedi nudi nella sabbia rovente e il tempo si ferma. 

La parte di mondo che si apre sotto di te è un nascondiglio, non c’è rumore, non c’è movimento, non ci sono camerieri perché si ordina tutto su tablet, e puoi ordinare all’infinito, puoi pensare all’infinito senza farti scrupoli, e poi di nuovo ordinare, non sarai giudicato, non ti guarderanno male, non ti chiederanno da quale città vieni, dove sei nato o dove morirai.

Adesso che niente può fermarti la tua faccia cambia espressione, cerchi al di sotto un appiglio, riorganizzi la visuale con un metodo tutto tuo, il portacenere dove lasci morire una sigaretta, dove qualcuno per sbaglio beve sakè, che metti in tasca senza farti vedere. E tutto intorno, quel senso estetico diffuso di karate e odore di cipolla caramellata, salse agrodolci, mirin e camerieri appena maggiorenni.

Lasci tutto alle spalle e corri via senza pagare il conto.

Fingi un inchino dal sorriso a mandorla e con la scusa mi dai un bacio vicino l’orecchio, che mi lascia sordo per qualche minuto, chiudo gli occhi immaginandoti vestita da samurai, magrissima e con queste maniche larghe con baveri poveri ricuciti tante volte, sguaini la tua spada feroce illuminando la notte con strisce di fuoco. È questo che vuoi?

Vuoi ordinare altro o viaggiare nel tempo ti basta? Non scherziamo più.

Ti apro le gambe e non fai resistenza, scarto un preservativo che tenevo nel cruscotto dal giorno prima, la carta appiccicosa cade sul tappetino che sa di Arbre Magique, nell’ordine delle cose tutto si ferma tranne il battito cardiaco e la canzone che passa per radio.

Hai tempo per una sigaretta?

Mi fai vedere una foto che custodisci da un po’, ha una riga al centro perché la tieni piegata a metà ma tu ci sei, ti riconosco. Non sei cambiata per niente, e invece sì, sono cambiata proprio quel giorno. Avevamo appena vinto il torneo annuale di pallavolo, questa è la palestra comunale, ci andavi?

Insomma quel giorno ho fatto tantissimi punti, sono stata la migliore, mi hanno intervistato anche sul giornalino della scuola, una cosa assurda. La sera stessa ho avuto una febbre devastante, tanto che mia madre mi aveva portato persino al pronto soccorso, in due giorni sono cresciuta di dieci centimetri e mi sono spuntate le tette!

all pictures by Leslie Zhang.

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