Il padre di Tesetti non veste americano

un’intervista di Giulio Frangioni.

Alessandro Tesetti scrive per il Super Tramps Club da diverso tempo.

Era febbraio quando ho trovato per la prima volta un suo testo online: non ricordo su quale rivista fosse uscito, ma il titolo del racconto sì. “Mani sudate”. 

“Mani sudate” parlava di due ragazzi, all’apparenza molto diversi, che vivevano la propria vita in modi paralleli e si trovavano, in fondo, a essere vittime delle stesse paure, degli stessi problemi. Sono un pessimo venditore, ho due racconti di cui fare promozione oggi e sto usando questo spazio per parlare di un terzo. Il punto è che ho letto il testo, e poi il suo nome in fondo alla pagina, con la data di nascita. Alessandro è nato il mio stesso anno, questa cosa mi ha colpito da subito, così l’ho cercato su Instagram e gli ho scritto.

“Mani sudate” parlava di due ragazzi, all’apparenza molto diversi, che vivevano la propria vita in modi paralleli e si trovavano, in fondo, a essere vittime delle stesse paure, degli stessi problemi. Sono un pessimo venditore, ho due racconti di cui fare promozione oggi e sto usando questo spazio per parlare di un terzo. Il punto è che ho letto il testo, e poi il suo nome in fondo alla pagina, con la data di nascita. Alessandro è nato il mio stesso anno, questa cosa mi ha colpito da subito, così l’ho cercato su Instagram e gli ho scritto.

Oggi Alessandro e io ci sentiamo spesso, lui mi manda tutto ciò che scrive, mentre lo scrive, anche per altre riviste. Dal canto mio, di Alessandro leggo tutto, sempre. Sono andato a trovarlo a Roma e la capacità che ha di calarsi nei pensieri di ciò che racconta mi ha colpito con forza anche dal vivo.

Questo martedì è uscito per STC il suo racconto “Panni americani”, mentre il 27 settembre lo leggeremo su Turchese 2, la nostra rivista letteraria, con un grande testo, il mio preferito di quelli che ha scritto finora. Il titolo, “Mio padre leva le formiche dai ciuffi d’insalata”, mi fa pensare a un momento perso nel tempo, elegiaco e consapevole, come una nostalgia al tempo presente.

Queste sono le domande che gli abbiamo rivolto a proposito dei due testi.


Ciao Alessandro, benvenuto. Il tuo ultimo racconto, “Panni americani”, parla di un ragazzino a cui è sempre stato detto di tenersi alla larga da una particolare parte del paese, senza che gli fosse mai spiegato il motivo. Cos’è per te questo mercato dei panni americani?

Ciao Giulio! Grazie per l’invito, è la prima volta che qualcuno mi pone delle domande su cosa scrivo e non nascondo un certo imbarazzo.

“Panni americani” credo sia nato appositamente su due livelli, però me ne sono accorto solo poi: il primo è chiaramente la realisticità delle immagini, cioè il mercato dove mi reco tutti i sabati da un po’ di anni ormai per comprare libri, vestiti, quadri e cazzatine. Io vivo a Roma ma ho parenti a Cassino, metropoli ciociara, lì il mercato dei panni usati si chiama mercato dei panni americani, non ho mai capito perché. Ho chiesto in giro, anche ai vecchi ho chiesto, nessuno ha saputo rispondermi. Quindi sono anni che vado al mercato dei panni americani senza sapere perché si chiami così.

Quand’ero più piccolo chiedevo a mia madre perché non andasse mai al mercato dei panni americani, lei infatti girava solo quello dei vestiti e delle scarpe; lei o non rispondeva o mi diceva che non aveva tempo per andare anche lì. Neanche questa cosa ho mai capito, perché non mi diceva la verità? Fatto sta che ho scoperto da solo essere il mercato dei vestiti usati, antiquariato ecc. L’ho scoperto attorno ai 16 anni, la curiosità mi aveva spinto lì.

Il secondo livello del racconto è invece ciò che ci viene proibito o nascosto o impedito quando siamo piccoli. Il mercato dei panni americani diviene una scusa per trasgredire divieti e morali fasulle dei nostri genitori. 

Anche il tuo racconto “Mio padre leva le formiche dai ciuffi d’insalata”, che vedremo su Turchese il 27 settembre, parla di un ragazzo il cui futuro è stato spesso deciso per lui. Come il protagonista di “Panni americani”, però, il personaggio cerca di scegliere una strada che sia propria, indipendente dai genitori. C’è qualcosa in particolare che ti affascina di questa tematica?

Questa tematica la sento molto mia, se fosse stato per mio padre a quest’ora starei marciando con una divisa.

Invece ho scelto un percorso mio, lontano da quello che lui ha sempre sperato per me. Questo non significa che io sia il protagonista di ogni cosa che scrivo, al contempo non nascondo che ci sono certi fantasmi ai quali mi ispiro. Percepisco nei miei coetanei un senso di conforto, rassicurazione nei propri genitori.

Se non scendiamo più in piazza a protestare, se siamo così ammutoliti, è perché la vita dei nostri genitori ci va bene. Io non la penso così, non condanno la famiglia ma neanche la sostengo più di tanto. Ci vengono imposti vincoli sotto forma di consigli, e come dice Frank Zappa se non c’è deviazione dalla norma non è possibile il progresso.

Il personaggio di “Mio padre leva le formiche dai ciuffi d’insalata” cerca una propria strada, scappa dalla famiglia, scappa dall’Italia, ha bisogno di capire. 

“Mio padre leva le formiche dai ciuffi d’insalata”, prima di uscire su Turchese, ti ha portato ai turni finali del prestigioso premio Campiello Giovani. Che tipo di viaggio è stato partecipare al Campiello e come mai hai deciso di presentare questo racconto per la selezione?

Io in realtà non volevo partecipare, davvero. Ho inviato il racconto un’oretta prima della scadenza.

Ho scelto questo racconto un po’ per paraculata, consapevole di quello che cercavano loro (non potevo certo scrivere di scopate e cazzotti), ma anche perché è un racconto che sento veramente mio. Sì, è lontanissimo da Panni americani o Proboscide; ma la sua ricerca tende al generazionale, all’universale, al mito.

L’ho scritto dopo un giro in motorino per i Castelli Romani, sono stato tre ore a guidare, poi ho comprato una bottiglia di vino bianco a Marino, sono tornato a casa e mi sono messo a scrivere, ho finito il racconto e la bottiglia nel giro di mezz’ora. Se proprio dovevo partecipare al Campiello perché alcuni stronzi mi spronavano a farlo, volevo che fosse qualcosa di genuino, nato dal colore e dal calore dell’ubriachezza.

Come il protagonista di “Mio padre leva le formiche dai ciuffi d’insalata”, anche noi del Super Tramps Club sentiamo spesso il bisogno di lasciare tutto e scappare, per ogni storia è come un vagabondaggio. Quanto è stato vagabondo il tuo rapporto con questi due racconti? È andato tutto secondo i piani o ti sei ritrovato dove non avresti immaginato?

Io raramente scrivo con idee precise in testa, magari qualche sfumatura o schiocco, ma mai so dove mi porta quello che scrivo. Spesso possiedo sensazioni legate a un ricordo, un abbraccio, un addio, un vaffanculo, un dettaglio intravisto di ritorno a casa.

Di “Panni americani” avevo solo la puzza di certi banconi e il caos di gente che rovista e urla.

Di “Mio padre leva le formiche dai ciuffi d’insalata” avevo ulivi, selciato, ciottoli, latrati, cielo azzurro, vigne; nient’altro. Scriverlo è stato un viaggio, lo stesso percorso che lui fa verso Marsiglia è stato un viaggio, io non l’ho mai fatto, non sono mai andato a Marsiglia. Perché allora ho scelto quella meta? Non lo so, il personaggio voleva vedere il mare e non voleva vedere l’Italia, l’ho portato lì perché me l’ha detto lui. Prima o poi ci vado anch’io.

Cosa vorresti poter dire a una persona che sta per iniziare a leggere Turchese 2?

Cazzo dovete supportare Turchese 2 perché tra qualche anno sarà un pezzo rarissimo, inoltre non vi siete scocciati di leggere sempre le stesse buffonate pubblicate dai grandi editori sotto Berlusconi?


P.S. “Mani sudate” era uscito per Senzadieci, una rivista meravigliosa, e vi invito caldamente a leggerlo. Così come, d’altronde, qualsiasi testo di Alessandro Tesetti.

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