Falene 2 – chimera

un racconto di Sibilla.

(Una chimera è una chimera)

A volte bisogna semplicemente abbandonarsi. 

Lasciarsi, letteralmente, rinunciare a se stessi. Anteporre altro a sé, anche se ci sembra inconcepibile, anche se sacrificarsi per qualcosa che non è se stessi e sconfinare, interrompere questa tradizione di egocentrismo e di esaltazione della dimensione individuale diventata ormai automatica e inconsapevole, anche se tutto questo sembra impraticabile. Bisogna dunque liberarsi del flagello di se stessi. Il nostro elaborare è la gabbia che ci scherma dall’agognato senso di appartenenza che è fisiologico di ognuno di noi. Siamo il nostro freno fatto di carne e neuroni, in movimento, ma è sempre un movimento interno, è contrazione e mai estensione, assimiliamo senza appartenere, la nostra libertà sta nella mancanza di aggregazione, non apparteniamo mai, siamo così unici e isolati da non comprendere come non si possa giungere a una conclusione, alla verità. E non possiamo, non potremo, perché godiamo di una vista orientata. L’assenza di sé è la visione periferica che ci manca, lo stare sommato all’appartenere. 

Eppure questo processo rimane un viaggio plurifase. Impossibile, di fatto, pensare a un viaggio come a un percorso a una sola tappa. Ed è conoscersi nel profondo quella più estenuante, più incomprensibile e appagante allo stesso tempo.

Sono convinta anche io che conoscersi non voglia dire capire il proprio limite, ma vedere oltre questo. Mi spiego: non superarlo. Superare il proprio limite è morire, e se c’è una cosa che ho imparato ultimamente, è che della morte non ne voglio sapere proprio nulla. La morte non è annullamento, è accontentarsi della propria cecità e abbracciarla. La morte è la stasi, è accettazione.

No, non è questo.

È vederlo. Vederlo nella sua totalità e nella sua invalidante perfezione, perché è proprio lui che ci permette di costruire attorno ad esso; se non avessi il mio limite non sarei qui a sproloquiare sul blog di un caro amico, non camminerei in questi corridoi che mi tolgono cinque ore di fiato al giorno, non avrei cercato una fuga in determinati occhi, per poi trovarvi solo altri limiti. Riconoscerlo, e poi scrutare oltre. Un lavoro da affidare in larga parte all’immaginazione. Ebbene, allora immagina, immagina di essere unico, non nel senso più banale del termine, immagina di essere singolo, racchiuso in una bolla piena di fumo, fragile e perfetta e fluttuante che è te stesso. 

Voi, noi, persino io, che non sono niente, non ho un volto, non siamo che questo: animali razionali incatenati a una dimensione surreale ed eterea, avvolti dalla nebbia attraverso cui vediamo tutto, filtro della nostra vista. Ed esso è il tramite con cui ci è stato permesso di avvicinarci alla realtà, esso è la guida, riparo, ma irrimediabilmente, limite.

Vivere sulle limitazioni è dunque tutto ciò che ci è concesso, l’esperienza cui siamo associati dalla culla alla tomba, senza via di scampo.

Immagina ora di non aver alcuna protezione. Di non aver alcun filtro, niente mezzi termini, di dover affrontare il reale con la crudezza con cui ama manifestarsi, e cioè violentando tutto ciò che si pone al suo sguardo, crudele, spietato, e maledettamente vivo, pulsante, raggiungibile. Liberarsi dalla percezione è di fatto questo: affrontare una realtà oggettiva e prestabilita sfiorandone l’essenza, toccandone la pura identità. Ogni consapevolezza è liberata dal peso della soggettività, ed è casta e intoccabile, amplificata, ogni atto è incontaminato, tutto ciò che esiste assume un senso di incorruttibile immutabilità, staticità. Immaginati così, e sentiti soffocato dalla realtà che hai costruito per i tuoi occhi, perché non potrai farne a meno, non potrai ignorare il senso di oppressione, non potrai fare altro che sentire la mancanza dei tuoi confini, dei tuoi demoni. Sarai irrimediabilmente terrorizzato da te stesso, nudo, ed esposto, tanto da farti del male.

Situazione estrema e impossibile. Resta inattuabile una concreta liberazione.

Una chimera è una chimera. 

Una chimera non è che un mostro multiforme che alberga nella tua testa, insinuandosi ciecamente, è quell’illusione che bussa alle porte della tua quotidianità ogni tanto senza avvisare, tormentandoti per poi scemare piano, silenziosamente. È quella creatura che dorme insepolta in un angolo della tua coscienza, quella creatura sconosciuta che hai partorito in solitudine e che tieni nascosta, perché ne sei così orgoglioso, così spaventato, perché lei è informe e mostruosa ma è pur sempre il tuo riflesso incondizionato. 

Una chimera è una chimera.

La mia chimera ogni tanto morde, per lo più è ancora così amorfa e incompleta.

tutte le foto di @mild.moon.

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