La Gardiniza

un racconto di Emma Mattiussi,
tutte le fotografie di Sara Molteni.

C’era una vecchia che abitava, assieme alle nuvole, a mezza montagna. Per procurarsi l’acqua doveva camminare a lungo fino al paese, di giorno in giorno più lentamente con le gambe sempre più stanche. Una notte cadde la neve, al mattino la donna prese i secchi e si incamminò. Alla fontana, l’acqua era uno spesso strato di ghiaccio e la vecchia si bruciò le mani per prendere i pezzi da far sciogliere a casa, sul focolare.

«Cattivo presagio», mormorò, sollevando i secchi con le mani rosse e crepate.

Quando rientrò in casa, a passo lento, intravide qualcosa in fondo alla stanza:

«Chi sei tu, là dietro il fogolâr? Esci da casa mia, ché abito io qui».

Ma la gardina mostrava i denti.

«Va’ fuori di qui o chiamo qualcuno».

Ma la gardina non se ne andava: accovacciata dietro il focolare, mostrava i denti.

Prima la vecchia andò in paese a chiamare gli uomini ed essi, sulla porta di casa con forche e badili, gridarono e sbuffarono contro la gardiniza, ma non riuscirono a cacciarla fuori. La vecchia andò allora a chiedere aiuto al lupo, all’orso e al cervo, che entrarono in casa e iniziarono a ululare, rugliare e bramire contro la gardina, ma niente da fare. Giacché nemmeno questi ci riuscirono, ognuno se ne tornò nella propria tana, lasciando sola la vecchia che, piangendo, si mise a vagare fra gli abeti, calpestando neve. Salì fino in vetta, e quando si sedette su una roccia, piena di stanchezza e di lacrime, subito si addormentò sopra le nuvole.

Sognò di volare sull’ala di un uccello che piombava di testa verso il suolo. Poco prima di raggiungere la terra, l’uccello si trasformava in un grande fulmine, luminoso, dalla forza divina, che cadeva dritto sulla sua casa. Questo doveva accadere per scacciare la gardina.

Quando si svegliò, fermo sulla roccia di fronte alla vecchia, c’era un grifone:

«Perché mai vi asciugate le lacrime con il vestito, vecchia Lysyza?»

«Non dovrei forse piangere ché ho la gardina in casa?», la vecchia rispose.

«Oh», disse il grifone, «lasciate che vi accompagni. Salite sulla mia ala, vi porto dal macellaio».

Allora la vecchia scese in paese sull’ala del grifone, ma il macellaio aveva finito tutta la carne. La vecchia, quindi, andò dal cacciatore, ma il cacciatore aveva venduto tutta la selvaggina. La vecchia, infine, tornò a casa sua in punta di piedi e, senza farsi sentire dalla gardina, prese dalla dispensa tutta la carne che le restava.

Si mise sulla porta di casa e tirò il primo pezzo di carne contro la gardina, che saltò sul fogolâr per prenderla, rischiando di bruciarsi.

«Povera me» disse la vecchietta, «prima era dietro il focolare, adesso è addirittura saltata sopra!»

Poi le tirò un altro pezzo sulla madia, e quella ci balzò sopra per ingoiarlo in un boccone.

«Ancora peggio, adesso è sulla madia!»

Poi le tirò un altro pezzo che andò a finire sulla mensola, e la gardina spiccò un salto. Quando fu sulla mensola, per afferrare la carne, ruppe tutte le scodelle di terracotta e per il forte rumore la vecchia non riuscì a dire più nulla.

Poi le tirò l’ultimo pezzo sull’uscio di casa, e la gardiniza spiccò un salto. La vecchietta era tutta felice di vedere la gardina sull’uscio, ormai fuori, ma questa cercava di ritornare dietro il focolare. La carne era finita, allora la vecchia, con grande sforzo, si alzò la gonna e stava per tagliarsi un pezzetto dalla coscia da tirare alla gardina, quando un rombo di motore risuonò per tutta la valle. La guerra degli uomini era arrivata a casa della vecchia.

Quando il rombo si fece più vicino, entrò dalla porta di casa e dal camino e rimbalzò sulle quattro pareti. La gardiniza, che era tornata dietro il focolare, si spaventò tanto da saltare impazzita, finché finalmente uscì dalla porta e la vecchia, infilandosi velocemente, richiuse a chiave dietro di sé. La gardina, piena di paura, finì in un profondo dirupo, si ruppe il dente grande e morì. Così la vecchietta fu contenta di aver cacciato fuori la gardiniza. Eppure, la storia non è finita.

I soldati si accamparono nei grandi prati attorno alla casa e poi a ondate salirono sul monte per sparare tuoni e fulmini. Di notte la vecchia sognava ancora il grande grifone che si trasformava in un fulmine e che si abbatteva sulla casa, e si svegliava in preda al panico. Usciva e andava a portare il tè caldo ai soldati, sperando che così la sua casa sarebbe stata protetta. Ma gli altri soldati, quelli che stavano dall’altro lato della montagna, un mattino scesero a valle. Comparvero all’improvviso sbucando dalle nuvole e spararono ai soldati accampati attorno alla casa. Un ragazzino di pochi anni, lacero, sporco e pieno di fame, sparò con le mani tremanti e colpì una tegola traballante della casa della vecchia. A una a una, tutte le tegole seguirono, il tetto intero crollò e la casa si ripiegò su se stessa. La vecchia, che non dormiva più da giorni per evitare di sognare il fulmine, pensava alla gardina e alla sua paura. Pensava alla gardina che cercava un angolo in cui scaldarsi.

La trovarono così, qualche giorno dopo, quando scavarono sotto le rovine: la vecchia Lysyza, piena di lacrime, accovacciata dietro al fogolâr.

editing di Alessandro Tesetti.

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