un racconto di Giorgio Castriota Skanderbegh,
editing di Giulio Frangioni.
Sopra quieta rifrazione di bagliore di Poteau, Oklahoma, prima che il disco solare vibri immagini e parole: venature di grezzo legno, stage in cerca di attori, accorruomo venghino: vuoto. Da dappertutto, verde guarda l’erba in su verso suole moribonde, sotto cosce innervate saltanti, dentro pantaloni nelle cui tasche mani incrociano nocche in attesa.
«Ancora non arriva».
Occhi dentro altri occhi, tra intervalli di perlustrazione del circostante, si incontrano. Ascellare si espande l’attesa sulle camicie, ingiustificata dalla temperatura.
«Viene. Ha detto che viene… viene».
Un quieto pubblico non osa approcciare lo spazio-audience di fronte al palco; in cinta muraria occhi e cosce si passano le domande in semianello, fronti si arricciano sotto cappelli e fazzoletti. Viene vi vien vienevieneviene rabarbaro rabarbaro rabarbaro vi vvvvv rrrr.
Nella terra di nessuno, l’erba indisturbata.
Un urlo viene attraverso il cielo, cartoonesco aroooga aroooga fuori da un lungo scintillio cracchio di gomma su ghiaia, con alcuni (pochi) degli inanellati a rompere la concentrazione e girarsi verso l’auto che teatrale gira antiorologio attorno a loro e al centro bullseye di Poteau, OK, cinghie e freni oliati fin dietro legno di palco in attesa.
«Non è qui».
«Ha detto che viene».
Altro rabar rabar vvvv rrr copre il clacciare di ganci e morsi e portiere — lieve gnik, inaccettabile: rimediare. Nascosti alla vista, in un intervallo di silenzio. Salgono poi gli scalini in scena, Pomata Pragmatico destrapalco; Gessato sinis; e — atteso, cartella in mano, sopra il palco sopra il podio sopra il palco: Uomo Banca, cappello, naso e occhi guizzanti ma via dalla folla. Lentezza rituale delle dita che calano l’involto, aprono, squadrano, impongono fogli dentro confini reciproci.
«Benedetto il Signore, sono qua con te: che cosa ne so perché non c’è?»
Sopra gli occhi della folla, i documenti contati, Uomo Banca finalmente: Ehm Ehm. Il segnale di avvicinamento — prego, come a casa vostra. L’anello si guarda, salta gli sguardi nemici nelle proprie fila, cerca di telepatare un piano di riserva, propositi falliti sopra porzione di prato che li separa. Il primo passo rompe, poi il secondo, rassegnati piedi violano l’erba e cominciano a disporsi in ricezione, sotto la recita imminente, quando emerge — da dietro, prima da fonte univoca poi increspato attraverso sempre più gole — il richiamo baloo baloo balooo di morsi di frase che annuncia, prima ancora di esso diventare udibile, il cricchio delle scarpe di Malachi “Hullabaloo” Fitzpatrick, che finalmente viene.
Fuori del sancta dei bisbigli, normali avventori, furbi tagli di occhi ansiosamente si accalcano, accaparrandosi le prime file, ignari che Lui, Malachi “Hullabaloo” Fitzpatrick è venuto a Poteau, Oklahoma, come aveva detto. Il pollice che non riposa in fondina sulla bretella sinistra over maniche di camicia flicca gioviale il bowler a Signore e Signori — mal fitz aloo dalle bocche sollevate. Con lui ad ali, sopra spalla sinistra incede Justice “HonkyTonk” Lewis, proiettando mezz’ombra su (livello scapola destra) Liam “HalfPint” Blayney: scansionatori di teste, entrambi. Fuori da Blayney, attraverso denti e peli, vibra The Croppy Boy tagliando silenzi movimentati. Dal palco: ostentata noncuranza.
«Fitz, sei venuto. Grazie a Dio. Hanno già portato le bestie— Guardali che st—»
«Amico mio: Sshh. Fai del petto e del mento quadrati. Profonda la voce; stendi la fronte. Dai agl’Inamidati il miglior muro che puoi essere», dice questo, MHF, attraverso vibrazioni dai palmi che ha poggiato a contenimento su ambo i lati-bicipite dell’uomo — pat pat — e tira dritto dentro la calca, dentro gli ooo ooo.
Uomo Banca, dopo ulteriore Ehm Ehm propiziatorio assertivo apotropaico: «Brava gente di Poteau, Oklahoma: possiamo dare inizio all’asta alla presenza dei rappresentanti della legge e dello Stato dell’Oklahoma».
Si possono dire le teste forestiere dallo spasmo-collo che contrasta la volontà di guardare intorno; alcuni odorano di città; bagnati dal fischio di HalfPint Blayney, alcuni peli di nuca salgono sull’attenti. A intervalli la bretella di Hullabaloo Fitzpatrick suona bemolle carnoso.
«L’oggetto all’attenzione odierna è il Lotto 49, precedentemente noto come Fattoria MacHughes, dorinavanti nominato La Proprietà. La Proprietà consta di acri 6—»
Eccolo: quello lì; quello Fitzpatrick ha adocchiato; il tremito di quello nella sua mano è quello che stava cercando.
«Possibilità di riconversione di attrezzatura e di effettiva estensione di terra, uso alternativo indicato allevamento, base d’asta lib—»
Ciaff su trapezio bagnato, le labbra screpolate di Malachi “Hullabaloo” Fitzpatrick si tendono sopra un dente scintillante, vicine all’orecchio teso: «Di’, mio fratello in Cristo, starai mica pensando di fare spropositi con i tuoi guadagnati così duramente soldi?».
Da un’altra zona della folla una faccia amica alza il grido di «Un penny».
Cosa? Il palco è sicuro di non aver sentito bene. Ehm Ehm— non ho sent—
«Un penny».
«Sai», il dente d’oro continua, «hai l’aspetto di un uomo che pensa, che la testa gli pesa mica per caso, dicevo giusto al mio amico grande qui», con pollice retroattivo verso gli avambracci incrociati di HonkyTonk. Le labbra di Blayney provvedono ancora al sottofondo. «Senti? Un penny per un pensiero. Usa la crapa, JimBob: fatti un giro», e fuori dall’orecchio e fuori dal periferico dell’occhio sussurra via MHF.
Fuori dal ruffo di carte sotto il sole: «Signori, non è una fiera o un saloon. Quest’oggi si svolge una transazione seria. Molto bene, ci siamo divertiti. Attendo ora un’offerta seria».
Intessuto nel silenzio/attesa inignorabile il cricchio di tre paia di scarpe che sghiaiano fino alla prossima nuca — Ehm Ehm ruff ruff.
Le caratteristiche del lotto ripetute, elencate riordinate, spedite al pattern di braccia incrociate in attesa; Uomo Banca accenna agli spallaggi ufficiali sul palco con lui — che f? proseg? — macinando occhiatacce al laghetto di teste in cui — lo sa — tre gocce in dispersione si emulsionano, alterando il colore della gente il tanto che basta perché sotto il sole si veda. Dove sono?
«Ehm ehm — aight proseguiamo. Prima offerta. Base d’asta libera, purché sia superiore a un penny», il sopracciglio della battuta di spirito incontra aria di gomma, alcuni grilli circostanti con tre quarti d’idea di prendere turno prima per ghiotta occasione di incarnare metafora.
—
«Due penny».
L’impasto di persone traballa d’increspature, trasmettendo miniùrti dalla periferia verso il centro, quando contro i bordi cominciano a premere, rispettivamente, in manovra a tenaglia, Deputy 2 e Deputy 1 in risposta a mormorii gracchiati con troppo fiato da Cinturone Capo. Loro impressione certamente, ma il grosso degli astanti è piantato di piedi, s’accorge con leggero ritardo della richiesta di fare largo. Il bowler galleggia dentro e fuori vista, ma con ogni corpo che passa sipario nel quadro rimbalza altrove — D2 e D1, in parallasse, sudano imprecazioni: no buono neanche seguire il grosso negro che si porta dietro gah! —; sopra e intorno, ragionevolmente vicina ma equidirezionale: una melodia. Sono bretelle che rimbal—?
«D—due. Ehm Ehm».
Gli occhi bancari scandagliano, gli stivali di legge arrancano, il globo compatto di astanti non ammette penetrazione. Un bowler, un negro, e un Croppy Boy danzano, particelle, colloidale di corpi tra corpi, accarezzati dalla stessa brezza che agita carte ufficiali su leggii ufficiali. Le facce di Deputy 1 e 2 s’incontrano, alzandosi le sopracciglia l’un l’altra. La carne ora è intorno a loro, spalle si serrano a chiudere l’uscita dall’epicentro, aria è ripompata carica di calore nella direzione opposta di quella in cui 1 e 2 fiatano.
«Signori, io protesto. Siamo assolutamente fuori dalla procedura, e il tempo che la banca vi sta concedendo è prez—»
Fuori dal rabarbaro rabar, prodotto dagli altri corpi, Il bowler, fuori dalla folla; il bowler nella Terra di Nessuno sub-palco; il bowler sopra un occhiolino sopra rughe arricciate di ilarità, sopra uno scintillio giallo tra labbra tirate. Uomo Banca è investito dall’immagine di Malachi “Hullabaloo” Fitzpatrick, che gli rifrusta indietro gli smangiati E|h|m E|h|m di presa di tempo.
«Ah… Bene. Abbiamo trovato la nostra fonte di dist—»
«Tre penny».
Deputy 2 e 1 scossi dalla risata della folla che vibra peristaltica nelle loro pance: cercano lo spiraglio, la via indietro verso i latrati di Cinturone.
Uomo Banca abbandona anche il rituale benefico di rimesto carte: la folla lo guarda come unico collo, unica vena su unica fronte; UB pensa con trasporto alla scaletta che trasporta giù dal legno del palco, si massaggia lo spazio tra gli occhi. La pozza di rabbia gli preme contro la bocca, e sibilato tra i denti lo sguardo che lancia si arresta negli occhi di M “H” F, dentro i quali Uomo Banca legge, apprende cinematografo di strade deserte da percorrere, di notti indifese, di rumori fuori sorveglianza e di occhiate furtive contrabbandate sopra la spalla: il resto della sua vita. La lingua di Uomo Banca gnicca sull’avorio lato interno, la faccia bagnata dal calore dell’uomo che da sottopalco gli sorride; neanche vede i due che affiancano mani in tasca Malachi “Hullabaloo” Fitzpatrick: Malachi “Hullabaloo” Fitzpatrick catalizza e rifrange.
«Tre penny», Uomo Banca di rimando, fsh di carte e grandine di schiocchi-legno. Fuori vista, fuori scena, sipario.
A Poteau, Oklahoma, stivali non conniventi abbandonano la ghiaia protestando, e uomini di legge indietreggiano, mentre sigle e nomi sono apposti, mani sono strette, altre mani percuotono le spalle di Malachi “Hullabaloo” Fitzpatrick, inadorno dei compari, che riconsegna parole di conforto (oltre che un atto di proprietà) al contadino travagliato, beccandosi promesse di latte sempiterno da facce rigate di lacrime, mentre con fiorettata del bowler dichiara: «Niente affanno per il domani, buon diavolo tu».
«Al diavolo i bifolchi senza-Dio», pronuncia Uomo Banca non appena Culo Banca tocca il sedile della macchina convocata per riportarlo alla Banca Banca, dove Uomo Banca intende annullare, invalidare, depennare, denunciare. Sopra il sottile sigaro appena digrignato, UB raglia all’autista di darsi una mossa, ma Autista sembra tranquillo: unghie (sporche) grattano il retro di un collo che vibra note che mutano in mormorii, canzoncina che Uomo Banca suo malgrado si aguzza di captare:
I bear no hate against living thing
But I love my country above the King.
Now Father, bless me and let me go
To die, if God has ordained it so—
tutte le fotografie di Sirio Pedrazzini.