Il nostro inverno preferito: intervista a Elena Marrassini

un’intervista di Stefano Tarquini.

È un pomeriggio di fine inverno e a Firenze piove di brutto. Io sono in tuta, forse ne indosso due, sì sono freddoloso. Devo chiamare Marrassini anche se è trafelata. Dallo spoglio della redazione è lei la vincitrice della call “Se una viaggiatore d’inverno notte”. La prima call libera del Super Tramps Club ha destato molto interesse nell’ambiente della scrittura italiana, sono arrivati numerosi contributi. Di seguito la mia chiacchierata con lei.

Elena nel suo pezzo fa un viaggio dentro se stesso e non se stessa, in un percorso che evidentemente unisce cervello e colon, come amore e odio, volontà e oblio. Un viaggio inconsapevolmente consapevole rilasciando indizi sparsi, che compongono un puzzle dell’anima, però incompleto. SCI è un racconto delicato, lieve, che però scende in fondo attraverso le viscere, e ruota, continua a muoversi in modo circolare fino a.

SCI è una storia di violenza più o meno esplicita, e Marrassini mascherata dietro un io al maschile ci osserva mentre la divoriamo, ci trascina alla deriva con fare delicato, quasi tenendoci la mano. Perché scrivi al maschile? La cosa mi interessa molto, a volte lo faccio anch’io ma con scarsi risultati. Allora sbotta in una sonora risata toscanaccia.

Sono sempre stata tra gli uomini, sono cresciuta tra gli uomini, mi trovo bene con gli uomini. Ecco perché non riusciamo a odiarti, quando ti trasformi in un ex violento, un ex qualcosa di cattivo, un ex qualsiasi cosa costretto a firmare ogni sera per.

E Cinzia? Cinzia è il passato. È una donna che è ridotta male, forse dopo aver subito una violenza, o forse dopo che l’ho pestata ma. Forse dopo che l’ho amata.

Hai riadattato una storia già esistente per la call “Se una viaggiatore d’inverno notte? Oppure ti sei calata in quelle trame rimanendone invischiata tu stessa? Allora, a me il nucleo di questo mini racconto è venuto fuori prima di aver letto della vostra call. È nato da alcune riflessioni su come l’essere umano viva il proprio presente, su come “se lo racconta”, tenta di controllarlo e in fondo cerchi, con espedienti di vario tipo ma che io in fondo chiamo “narrativi” perché secondo me altro non sono, di condurlo a qualcosa di tangibile, utile per se stesso e per gli altri, o diciamo almeno accettabile.

Quando poi ho letto il tema della vostra call, che partiva dal “mescolamento” del titolo del famoso meta-romanzo di Calvino mi è venuto in mente il racconto che avevo buttato giù qualche settimana prima e ci ho rimesso mano. Non so di preciso perché, mi pareva adatto ecco.  In fondo è  un racconto di uno spaccato di vita del protagonista in cui lui, nella sua testa, costruisce una sua meta-vita, descrive la situazione in cui gli sembra di trovarsi partendo dalle diagnosi ricevute dai medici che lo seguono in un percorso che lui sta facendo e che lui però capisce secondo la SUA verità.

Nel senso,  anche Calvino sembra volerci dire che in fondo il vero autore è il lettore, no? Beh, il protagonista del racconto “legge” la sua situazione secondo il suo sentire e secondo ciò che ricorda/vuole ricordare del suo (recente) passato.

Quando all’inizio del racconto il protagonista pensa “Il mio cervello fa ciò che voglio io, il mio intestino fa quello che gli pare” mi ha fatto pensare alla differenza fra lo scrittore che scrive la sua storia, poi la dà in pasto al lettore che la digerisce, la metabolizza, la capisce un po’ come gli pare, forse proprio in base al momento di vita in cui si trova, e lo Scrittore con la S maiuscola (come fu Calvino con quel romanzo) che invece riuscì a guidare la stragrande maggioranza dei lettori dove volle lui, come fa il nostro cervello quando comanda il nostro corpo apparentemente a nostra insaputa.

Mi interessava molto questa tua scelta di affrontare la call con questo metodo di scrittura  e non limitandoti a citare sistematicamente i vari elementi che ne compongono il nome, e cioè notte, inverno, viaggio, se. Tu hai scelto di scrivere questo mini racconto, come avrebbe fatto Calvino, rilasciando indizi, periodo dopo periodo, anche se non portano effettivamente a nulla. Non finisco di dirti che mi interrompi con un illuminante:scrittura che potremmo chiamare a matrioska! Infatti tramite il te pensante al presente, il lettore immagina, passato e futuro e oltre. Sono una programmatore, risate. E continua:

Sarà che in fondo sono una informatica che a vent’anni rimase affascinata dalle funzioni ricorsive e che oggi nuota fino al collo nei metadati rincorrendo sempre il tempo per leggere e scrivere,  ma secondo me Calvino, in anticipo su tanti, scrisse un meta-romanzo-ricorsivo.

E questo, poverino, nel suo piccolo quasi micro, in fondo è un tentativo di racconto che racconta cosa un giovane uomo racconta a se stesso, e in cui si mescolano pensieri, sindromi, ricordi che dovrebbero essere ricordi e invece non lo sono, amori che dovrebbero essere amori e invece forse no e, sullo sfondo, viscere e spasmi.

Vinci la call secondo me con due parole quasi impercettibili, una vicino all’altra: “E allora”. Questo meccanismo di rilascio di elementi liminali ma pesantissimi, innesca nel lettore il viaggio dentro di te, l’immaginazione assoluta. Il resto è storia. Risate. E con fare da poeta navigato concludi il tuo racconto con speranza, facendoci amare il  cattivo, rendendo tutto il brutto che ha attorno, tollerabile. Risate.

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