I “libri risorti”: storia d’amore di un libraio d’occasione

un’intervista di Benedetta Marinelli.

Se siete arrivati qui dalla Lettera Vagabonda di Febbraio 2023, beh, non avete bisogno di altri preamboli riguardo al quarantenne entusiasta e innamorato che è Giovanni Spadaccini, se invece vi hanno portati su queste spiagge le maree agitate dell’internet… Buonasera.

Sono Benedetta Marinelli e ho intervistato per STC lo scrittore del libro d’amore più bello che abbia mai letto negli ultimi anni: Compro libri anche in grande quantità, taccuino di un libraio d’occasione (Utet, 2021).

Tranquilli, nessun amore che preveda i soliti baci sotto la pioggia, proposte di matrimonio sui laghi o altre romanticherie bagnate alla Netflix. 

Qui parliamo di amore per i libri, l’amore meno eteronormativo che ci sia, quello che davvero accomuna tutti noi che bazzichiamo su questi schermi.

Nel 2021 nel raccoglimento obbligato del lockdown in cui anche i cani si sono messi a scrivere, Giovanni ha raccolto i suoi appunti di libraio d’occasione, lettore a tempo indeterminato e scrittore part-time: ecco la nostra intervista a passeggio tra le strade della sua Reggio Emilia.


Ciao Giovanni! Che bello averti qui, accomodati sul nostro divano come se non stessimo svolgendo questa intervista per e-mail. Come stai?

Bene, comodissimo il divano…

Sarò sincera: ho sempre un certo qual timore reverenziale a porre domande alle persone che stimo, quindi fammi rompere il ghiaccio così: c’è una domanda che ti va di farti?

Oggi no. Oggi voglio solo rispondere alle tue.

Bene, chi è Giovanni Spadaccini?

Sono nato a Reggio Emilia nel 1980, dove ho vissuto fino ai 19 anni prima di spostarmi a Firenze per studiare. Trascorsi alcuni anni in Toscana sono tornato in Emilia dopo aver sciaguratamente vinto un dottorato di ricerca e, dopo averlo terminato con sommo sforzo e poca soddisfazione, ho deciso di aprire la libreria.

Io, che l’ho conosciuto, ve lo descrivo con un luogo: una scrivania con sopra una barricata di libri, sotto una lampada da pavimento dalla luce calda. Alla sua sinistra una parete piena zeppa di “segnalibri d’occasione”: foto, biglietti, cartoline. Sono i tesori che spuntano dai libri usati che compongono la libreria di cui Giovanni è titolare: “i Libri risorti”, aperta più di 10 anni fa a Reggio Emilia. Da dove nasce il desiderio e poi il progetto di far risorgere i libri? (Ma poi vogliamo parlare del nome? Stupendo!)

Dopo il dottorato ho capito abbastanza velocemente che quell’ambiente non avrebbe fatto al caso mio e delle mie curiosità così, come capita a molti trentenni che tentano la carriera accademica senza successo, mi sono reso conto che nei dieci anni precedenti non avevo svolto che lavori saltuari e poco qualificanti che mi avevano reso inabile a qualsiasi tipo di professione decente. Tuttavia, proprio quegli anni di dispendio, mi avevano reso piuttosto esperto del mercato librario, quello moderno in particolare e la passione non se n’era andata. Ho trovato un bel posto, l’ho preso in affitto, e ho iniziato a raccogliere libri o, come mi suggerì allora Antonio Moresco, a farli risorgere.

Sei un libraio d’occasione da cui il taccuino che hai pubblicato per UTET Compro libri, anche in grande quantità, in cui racconti aneddoti sulle biblioteche che scovi in giro: noi ragazzi nostalgici pensiamo che si tratti sempre di una specie di bella eredità, invece tu racconti che, quasi sempre, i tuoi libri arrivano da un dolore, spesso una morte. Credi che si possa, in qualche modo, continuare a vivere attraverso i libri che si lasciano? Se sì, tu dentro quali libri vorresti rimanere?

Una biblioteca – bella o brutta che sia – è inevitabilmente una sorta di autoritratto del suo proprietario. Ne descrive i gusti, ma non solo: le piccole manie (glosse, annotazioni, appunti), una visione delle cose che a un occhio attento risulta il più delle volte piuttosto precisa.

Io mi sono formato sui grandi russi dell’Ottocento, su Leopardi, sulla filosofia moderna (Giambattista Vico, il mio adorato!) e su alcune grandi voci del Novecento come Thomas Bernhard, William S. Burroughs, Albert Camus, Giorgio Manganelli, Antonio Delfini, per citarne solo una manciata.

Ma nel tuo libro, che poi è un concentrato di libri, ci sono anche stralci di narrativa, racconti tuoi insomma: quando scrivi riesci a essere totalmente “indipendente” oppure c’è un modello di scrittore a cui, anche inconsciamente, ti rifai?

Quando mi riesce di scrivere qualcosa di buono sono come in trance, ma mentirei se non dicessi che dentro la mia testa tanti modelli si accavallano e mi indirizzano, in maniere che mi sono ignote, a un risultato che in qualche modo era già previsto. In altre parole, cerco di non essere troppo dipendente dai miei modelli, ma quelli inevitabilmente lavorano dentro di me fino a uscirne in una forma trasfigurata ma riconoscibile a chi abbia dimestichezza con gli scrittori che amo.

Credi che si possa “educare” alla lettura oppure, un po’ come l’amore, la passione può solo scattare?

Si può educare a ben-leggere, diciamo così. Non sono per nulla un sostenitore di quella idea falsa e vagamente consolatoria che vada bene leggere qualunque cosa purché si legga. Si devono leggere solo i libri belli, e se uno non ne ha voglia, pazienza, farà dell’altro.

Giovanni, tu i libri li compri, li vendi, li scrivi, li leggi: li guardi sia dal punto di vista del “prodotto” che dell’esperienza estetica. Come si conciliano in te queste due anime del libro in quanto oggetto commerciabile e in quanto opera d’arte? E soprattutto, è possibile conciliarle?

Purtroppo, sono un pessimo commerciante e infatti mia moglie Raffaella (la mia partner in crime) mi rimprovera spesso per la quantità di libri che dovrei vendere e che invece mi porto a casa. Il libro è il mio sostentamento, quindi va da sé che molte volte l’aspetto di opera d’arte lo debba accantonare per privilegiarne l’aspetto oggettuale e commerciale.

Vabbè Giova’ a na certa te lo deve chiedere per forza: qual è il tuo libro preferito? Ti va di lasciarci una citazione con cui fare i fenomeni su Instagram?

Di solito rispondo Moby Dick, che è uno dei miei preferiti in assoluto, ma oggi farò un’eccezione: La Scienza Nuova di Giambattista Vico. Libro supremo. Tuttavia di Vico vi lascio una citazione, non dalla Scienza Nuova, ma da una lettera, ed è una sorta di manifesto metodologico per me: “è proprio dell’intendimento di veder il tutto di ciascheduna cosa e di vederlo tutto insieme, ché tanto propiamente sona intelligere

Come sai, oltre a Turchese, sogniamo di pubblicare anche libri e crearci il nostro nido nel panorama editoriale: ovviamente siamo devoti a Calasso e Einaudi (di 20 anni fa), ma secondo te qual è il segreto che rende una casa editrice “Grande”?

Dei grandi lettori, che abbiano gusto e facciano selezione. Senza Pavese, Calvino o Bazlen gli editori che hai citato forse non esisterebbero nemmeno…

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