ἔκϕρασις pornologiche #5

una serie di Sibilla.

L’uomo che la ama le dice che la sua pelle profuma di sole.

Lei è spezzata. Dalle sue lunghe ciglia trasudano gocce di dolore, come perle strappate senza pietà al tepore dell’ostrica. Il sole, lei l’ha perso. Forse per sempre, o forse si è nascosto nei suoi capelli, nei suoi sottili capelli castani, profumati come l’alba del giorno in cui l’orrore è iniziato, l’alba in cui ha perso il sole.

Lei è semplicemente un corpo bianco, un involucro esile che ospita il buio. Non è sempre stata così. Me la ricordo, me la ricordo così bene che se chiudo gli occhi posso diventare lei per qualche istante.

E sono lontana. Lontana dal grigiore in cui sono temporaneamente sospesa.

Sono intrappolata in un’immagine felice, nella pigrizia bucolica di una giornata assolata in campagna. L’uomo che amo mi tiene la mano, mi bacia la fronte, mi dice che profumo di sole, tutti i miei sorrisi sono per lui, in questo luogo d’incanto le ansie che quotidianamente divorano la mia pelle chiara come una malattia silenziosa si dissolvono nel calore pomeridiano, nell’odore del basilico, nel candore delle lenzuola appena lavate.

Sono bella, sono così bella, questo aggettivo perde tutta la sua banalità se sono io a indossarlo, come un vestito cucito su misura.

Sono bella come le tutte le veneri di marmo puro e morbido, sono fragile, innocente come Psiche.

Eppure quel pomeriggio mi sono spezzata, mi sono distrutta in miliardi di schegge di vetro rimbalzate nel vuoto che mi sono costruita attorno come casa, cosicché queste non potessero mai tornare indietro e ferire la mia pelle diafana. Il mio viso si è indurito come il cuoio al sole, sono invecchiata, sono morta di una morte indolore, incolore, senza significato, senza lutto, senza preghiere.

Sono ancora bella. La bellezza me la porto disegnata addosso come un fardello troppo pesante da portare per le mie spalle così delicate. Nemmeno l’uomo che mi ama può portarlo.

Si è perso nel mio vuoto incolmabile, non trova la via di casa, non ho lasciato tracce.

Non voglio soffrire. La sofferenza voglio lasciarla ai narcisisti, ai deboli di cuore, ai malati di solitudine. Io ho sempre vissuto nel sole. Le mie lacrime sono pietre troppo preziose per gettarle nella freddezza del reale.

Chiudo gli occhi per cercare la luce. Occhi grandi e neri in cui ritrovo la bambina che ero, che voglio essere. Voglio ancora un biscotto e voglio indietro il lusso di poter piangere senza consolazione per ore.

Voglio liberarmi dei primi segni della vecchiaia che spuntano come spighe mature dalla mia chioma scura, di questa nuova espressione stanca, malinconica, contratta, voglio fermare la realtà che mi afferra dalle caviglie violando il perimetro d’assenza che mi sono costruita attorno tanto alacremente.

Non posso, non più. Sono sospesa di nuovo.

Sono sempre bella. Il rossore non scompare dalle mie gote minute, né dalle mie labbra. Questa volta nemmeno il contatto mi porta indietro. Non una carezza, non un bacio. Li assorbo passivamente come medicinali in una flebo.

Ma sono sospesa nello stato comatoso del mio disorientamento. La violenza della realtà mi ha scagliato in nuovo nulla in cui galleggio senza la possibilità di fuggirlo vagando nei miei ricordi. Non posso vivere così per sempre.

Non posso vivere per sempre. Lo realizzo e mi sento ringiovanita. Non sto ancora bene. Ma starò meglio. Prenderò consapevolezza. Diventerò consapevole dell’esistenza di realtà più brutali di quelle interiori.

Recupererò la mia bellezza, smusserò gli spigoli della bocca, della mia nuova espressione accigliata, tornerò a quella morbidezza infantile, ad avere le spalle curve e morbide di una bambina, al profumo del sole. Tornerò dall’uomo che amo e condividerò con lui le mie ultime parole, la mia fine sarà nella dolce smania di un bacio.

Mi siederò di nuovo al sole. Ma non adesso.

Adesso devo scegliere il dolore.

all pictures by Wiosna Van Bon.

Leggi anche…

Fine del sogno
Cartolune #1 | Giovanna Cinieri
La Gardiniza