ἔκϕρασις pornologiche #2

una serie di Sibilla.

Ho quindici anni. Non sono particolare, né bella. Ho quindici anni e non ho ancora nessuna colpa.

Come dicevo, non sono bella, sono un po’ insignificante, acerba. Allora mi sforzo: alzo la voce, metto una collana bizzarra, mi trucco pesantemente.

Non sono bella: ma cammino con disinvoltura.

Ho i capelli rossi, lunghi, lisci, quei capelli sono il mio tratto distintivo. Senza i miei capelli rosso fuoco non sono nessuno, sono una quindicenne qualsiasi. Ho i capelli rossi e un vecchio cappotto nero di mia madre. Quella giacca mi definisce. Mi dà un’aria più credibile, gioca con il rosso violento dei miei capelli.

Ho la pelle bianca, ho le labbra color ciliegia, ho gli occhi scuri, quasi neri, mi hanno detto che gli occhi sono la mia particolarità. È stato allora che ho capito che non ero bella e non lo sarei diventata: ma di nascondermi non se ne parla proprio. Indosso scarpe alte, abiti neri, il mio cappotto, i miei lunghi capelli rossi, il mio trucco pesante, le mie labbra a forma di cuore.

Mi piaccio. Mi piacciono i miei stivali di pelle. Mi fanno pensare a Venere in Pelliccia. Mi vesto e mi trucco così per andare al liceo, per passeggiare, per fare qualsiasi cosa, non mi sento mai inadeguata.

Come dicevo, cammino con disinvoltura.

È dicembre. Io il freddo non lo sento, ma senza quel cappotto proprio non vivo. Allora mi stringo nel cappotto. Mi piace sapere di essere osservata. Mi piace proprio perché non ne capisco il motivo, non essendo bella, non avendo fascino.

Porto i miei quindici anni nella tasca del cappotto come un segreto, nessuno deve scoprirlo. Sembro sempre molto più grande, quasi vecchia, l’adolescenza non mi dà innocenza, mi dà solo la libertà di essere chi e cosa voglio, di giocare con la mia personalità senza rimorsi postumi.

Allora invento un sacco di storie.

Una volta sono una giovane tossica senza un posto dove andare. Una volta sono una studentessa anonima. Una volta sono l’amante segreta di un uomo più grande, magari straniero, presto mi lascerà, andrà via, ma è giusto così, è un amore sfuggente e vago. Non importa chi sono.

Cammino con gli occhi sbarrati. Ho quindici anni e vago da sola per le strade più grigie di Torino, i miei capelli e le mie labbra sono gli unici punti di colore, mi siedo sulle panchine, accavallo le gambe, accendo una sigaretta, fumo Gauloises rosse.

Non so nemmeno perché fumo, ma so che ormai fa parte della mia gestualità.

La mia fisicità sgraziata si trasforma quando decido di fumare così, sola, sulla panchina, ho quella posizione specifica che mi cambia tutta. Oggi sono una ragazza qualsiasi, una piccola intellettuale incompresa, sono indifferente al tumulto della città, ho il mio sguardo stralunato e quel briciolo di cultura insulsa che mi porto dentro con boria.

Prendo dalla borsa un libro di poesie, leggo solo poesie, la prosa non la capisco: la prosa è il rifugio di chi ha paura di dire ciò che deve dire.

Tra una poesia e una sigaretta mi guardo intorno.

Ho una sicurezza tutta mia, e non è per la bellezza o il fascino, ma è per la consapevolezza di non averne. Non mi sento bella. Mi sento sola. Sono un puntino rosso di quindici anni, intorno a me non esiste niente.

A quindici anni la solitudine è il mio punto di forza. Non ho legami. Non ho amici, famiglia, non sono obbligata ad avere una morale. Non ho conoscenza. Tutte queste mancanze sono libertà.

Non sono mai diventata bella, non ho neanche più i capelli rossi, né lunghi. Ho i miei capelli naturali, scuri, corti, e non ho più il mio sguardo sfacciato e tagliente, ho gli occhi grandi e sgranati da bambina, timorosi, sempre. Adesso ho qualche colpa, ma solo verso me stessa. Ho sempre rinunciato alla mia innocenza in nome della mia libertà, della dolcezza della mia solitudine. Ho rinunciato alla mia sensibilità.

Adesso non mi sembra più un punto di forza. Mi sembra un voto, una promessa fatta a un dio crudele in cambio di qualcosa che non ho ancora ricevuto.
Ma ho ancora il vecchio cappotto di mia madre, le mie labbra a forma di cuore color ciliegia, i miei versi.

all pictures by Zuza Krajewska.

Leggi anche…

Fine del sogno
Cartolune #1 | Giovanna Cinieri
La Gardiniza